Il labirinto che stiamo illustrando in questo articolo, non ha nulla a che fare con quel luogo in cui è facile smarrirsi e incontrare creature fatate o imbattersi in incantesimi, proprio come in certe storie di fantasy della tradizione anglo-sassone o celtica. Infatti nella lingua inglese, esistono due parole per labirinto: maze e labyrinth. Sebbene entrambi i termini rimandano a quel luogo costituito da una serie complessa e confusa di percorsi, maze è una sorta di puzzle complesso, ramificato (multicursale) che include scelte di percorso e direzione. Maze è pieno di vie chiuse, trucchi e illusioni: al suo interno puoi anche smarrirti e non trovare la via d’uscita. Somiglia alla metafora della vita, quando perdi la bussola o ti senti privo di risorse e pertanto rischi di perderti.
Mentre labyrinth è unicursale, cioè ha un solo percorso non ramificato che porta al centro: “A labyrinth is different from a maze. A maze is full of dead-ends and tricks. A labyrinth has only one path that always leads to the centre… if you stay on the path you cannot get lost”.
Nelle Arti Terapie Espressive, è la struttura labyrinth quella che impieghiamo per condurre i clienti nell’esperienza creativa, considerando anche il fatto che labyrinth, al pari della scrittura confessionale, delle scatoline del comfort istantaneo o del journaling, può essere considerato anche come una via, creativa e spirituale insieme, per favorire stati di guarigione.
Entrando nel labirinto unicursale, il cliente inizia un percorso di mindfulness, attraverso il quale può raggiungere un centro, il suo centro interiore. Muovendo il corpo (oppure utilizzando il dito nel mini-labirinto unicursale), è più agevole fermare la mente e ridurne il controllo, concentrandosi sul respiro e sulle sensazioni propriocettive date dal movimento del corpo stesso, proprio come si farebbe in una mindfulness in movimento.